Pasolini. Il sogno di una cosa by Enzo Golino

Pasolini. Il sogno di una cosa by Enzo Golino

autore:Enzo Golino [Golino, Enzo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Literary Criticism, General
ISBN: 9788845255519
Google: 8Xw0HQAACAAJ
editore: Bompiani
pubblicato: 2005-02-15T10:06:49+00:00


4. Altre mode, altri idoli

La tradizione, l’Italia antica, il «riapparso tempo della pia/sera provinciale» alimentano la «nostalgia», le sue «riaperte ferite», che pervade La religione del mio tempo (Milano, Garzanti, 1961), una raccolta di poesie scritte fra il 1955 e il 1960. Gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo sono al centro di una lezione di analisi pittorica e ideologica sullo sfondo di un paese in pieno mutamento. L’«io che brucia», appropriata metafora del narcisismo pasoliniano, confessa una triplice ossessione: «testimoniare, amare, guadagnare», tappe ulteriori del suo accidentato processo educativo. Pasolini evoca, autocommiserandosi, il periodo romano della povertà: «Quanta vita mi ha tolto/l’essere stato per anni un triste/disoccupato, una smarrita vittima/di ossesse speranze. Quanta vita/l’essere corso ogni mattina tra resse affamate, da una povera casa, perduta/nella periferia, a una povera scuola/perduta in altra periferia». Ma poi ammette, ironicamente consapevole di possedere straordinari strumenti formativi ad altri negati: «Mi appartenevano, invece, biblioteche,/gallerie (...) San Francesco, in lucenti/riproduzioni, e l’affresco di San Sepolcro, e quello di Monterchi: tutto Piero,/quasi simbolo dell’ideale possesso,/se oggetto dell’amore di maestri,/Longhi o Contini, privilegio /d’uno scolaro ingenuo, e, quindi,/squisito». Non a caso questi versi fanno parte della prima sezione del libro, La ricchezza, titolo tematico a cui l’autore esplicitamente si riferisce quando, elencando quei “beni culturali” che ho prima citato, scrive: «Tutto, è vero,/questo capitale era già quasi speso,/questo stato esaurito: ma io ero/come il ricco che, se ha perso la casa/o i campi, ne è, dentro, abituato:/e continua a esserne padrone ...». A questa “ricchezza” non corruttrice appartengono inoltre lo «stupendo privilegio di pensare» e il sogno – retaggio piccolo-borghese? – di una propria casa: Pasolini ne traccia una mappa ideale, arredamento compreso, ambita fonte «d’ordine» e «di dolcezza» nel lavoro e nella vita.

Una secca domanda, «Chi fui?», rivela l’ansiosa ricerca d’identità, e quindi il bisogno di portare più a fondo l’indagine sulla formazione del proprio io. Sviscerando infanzia, adolescenza e prima maturità, Pasolini accenna a un’altra norma del suo galateo: «Dare scandalo di mitezza». Norma non rispettata, come lui stesso riconosce, se è vero che «la violenza in cui mi frastorno,/dei sensi, dell’intelletto, da anni, /era la sola strada».

E finalmente, dopo tanta autoanalisi, Narciso irrimediabile, Pasolini torna ad osservare con passione didattica (A un ragazzo: il personaggio è Bernardo Bertolucci) gli atteggiamenti di un «giovinetto», la sua voglia di sapere. «Vieni tra gli amici adulti e fieramente/umile, ardentemente muto, siedi attento/alle nostre ironie, alle nostre passioni./Ad imitarci, e a esserci lontano ti disponi» (...) «Tu vuoi SAPERE, da noi ... la parte di vita che noi abbiamo spesa/disperati ragazzi in una patria offesa». Quel verbo all’infinito, sapere, scandito più volte con martellante ritmicità, e in due versi ripetuto a tutte maiuscole, è la spia di un fervore conoscitivo che si riflette nella uguale condizione del giovane amico.

La religione del mio tempo, il poemetto che dà il titolo al volume, ne è anche una sorta di cerniera, di intermedia ricapitolazione. Soprassalti di immagini friulane – trasmesse da un ormai cristallizzato grumo di miti personali e



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